La sagra della porchetta. O della fenomenologia dell’abito di Capodanno.

Dopo “Cosa fai a Capodanno?“, “Cosa ti metti a Capodanno?” è la domanda più digitata delle nostre vite negli ultimi giorni dell’anno, lo ben sanno le nostre tastiere predittive che custodiscono il peccato e la vergogna di discorsi che contengono in una stessa frase parole come luccicante, rosso, oro, mini, calze velate color carne e tacco 12.

Evitiamo volutamente di soffermarci sulle nail art a tema e sulla lacca glitter il cui uso, a quanto pare, è stato allargato ben oltre i discendenti di quinta generazione della famiglia Orfei.

L’abito di Capodanno è un argomento molto più che importante, è l’armatura che veste le sacerdotesse delle bollicine nella lunga ultima notte dell’anno, rendendo sfavillante anche ciò che sarebbe dovuto rimanere nell’oscurità di Mordor e nel non mandato in onda di Ma come ti vesti?.

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Sul simpaticone che urla “Tombola!” al primo numero estratto.

A Natale siamo tutti più buoni. Merito forse della quantità di cibo che ingurgitiamo e che, anestetizzandoci le sinapsi, ci impedisce di esprimerci ferocemente limitando la nostra comunicazione a sorrisony zuccherosi ed emiparetici. Tipo quelli che gentilmente doniamo al parentado di settima generazione alla domanda “Sai che Ermenegilda Flavia Concetta ha preso un triplo master in Scienze della Mesopotamia lavorando 15 ore al giorno? E tu?“.

Non essendo ancora tornata a casa dai miei e avendo ancora proprietà di linciaggio beatamente in equilibrio tra glucidi e lipidi, non potevo lasciarmi sfuggire la ghiotta occasione di prendere di mira il simpaticone che urla “Ambo!” o “Tombola!” al primo numero estratto. Perchè, possiamo dirlo senza troppa vergogna, prima o poi tutti veniamo coinvolti in una tombolata collettiva. Vale anche se costretti e legati al tavolo dalla nonna.

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Capodanno: (Carlo) Conti alla rovescia, ricchi premi e cotillons.

Ci siamo quasi. Il fatidico momento della fatidica domanda è ormai giunto: cosa fai a Capodanno?

Orde assassine di comitive festaiole stanno già invadendo i gruppi su Whatsapp facendo cinguettare rrrrripetutamente quei telefony che entro il 31 dicembre diventaranno sempre meno smart e sempre più sfatt.

Il mio Capodanno è generalmente sempre lo stesso: cenone d’ordinanza in famiglia e poi uscita con sorelle e amiscy dopo la mezzanotte, giusto il tempo di far scemare il fuoco artificiale nemico e di far fare effetto alla Citrosodina.

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C’è un anno per ogni cosa.

Qualcuno più autorevole di me, un bel po’ di tempo fa, disse che c’è un tempo per tutto. Un tempo per seminare, uno per arare, un tempo per dormire, uno per amarsi, c’è il tempo per mangiare (a me evidentemente non è stato spiegato bene quale) e pure un tempo per fare i dispetty, anche se quella persona autorevole non l’ha detto esplicitamente.

C’è un tempo anche per avere un blog, a quanto pare. Non uno a caso. Il tempo, e pure il blog.

Io l’ho ben capito in questo ultimo anno.

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Novi, Kinder, Lindt e lo scioglievole doppiosenso.

Disclaimer: chiedo venia ai marchi citati, di cui sono convinta fruitrice, ma a me alcune cose fanno troppo ridere. Colpa mia e della mia creatinità. Leggi come creatività cretina. Vogliatemi bene.

Pubblicità. Doveva succedere, un giorno o l’altro.

Banderas ha deciso di dire addio alla sua virilità, Costner ci manca poco e invece dello smoking di gala indossa le pinne gialle, quegli altri non possono bere un caffè in santa pace senza essere rincorsi da orde assassine che gli zombie je fanno ‘na pippa.

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