Di ritmi lenti, lievito madre e piccoli piaceri.

I mesi estivi per me significano lentezza.

Hanno il suono pigro delle cicale che infrangono il silenzio della pennichella pomeridiana.

Hanno il profumo fresco e atavico della conserva di pomodoro. Quella che assaggi ad occhi chiusi sul pane ancora tiepido.

I mesi estivi hanno la memoria della risacca e la spensieratezza dei campi di papaveri, che sanno di aver vita breve, ma proprio per questo la infiammano e la riempiono senza risparmiarsi.

Hanno il calore della marmellata e la dolcezza appiccicaticcia dei gelsi, che se non li hai mai assaggiati non sai cosa sia davvero la dolcezza.

In queste ultime settimane ho riscoperto il piacere dei ritmi lenti. Quelli che mi detta la natura.

Ho scoperto alcuni profumi, quelli del lievito madre. Mi sono incantata ad osservarne gli alveoli, quasi come fossero piccoli spazi di tempo prezioso nei quali prendere respiro e fermarsi.

Ho scoperto il fascino della pazienza e dell’attesa.

Ho fatto la pasta in casa, ed anche il pane. Mi sono sporcata le mani e le ho annusate per sentire il profumo vivo della farina e dell’acqua che fermentavano.

pasta fatta a mano

Ho scoperto che non c’è molta differenza tra un pensiero e fare il pane. Tra l’attività cerebrale e il lievito madre.

Entrambi necessitano di rinfreschi, e di tempo per maturare. Entrambi desiderano prima un po’ di calore e poi un po’ di fresco. Hanno bisogno di ore, poi di giorni.

Ho scoperto che l’indolenza, a volte, mi fa bella. E che la lentezza può essere una incommensurabile virtù.

D’altri tempi. E non dei tempi degli altri.

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